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Storia di Dorian, la startup che vuole allungare la salute.

Intervista a Maddalena Adorno, CEO e co-founder

 

Dorian Therapeutics è un’azienda nel settore biotech fondata in California nel 2018 da Maddalena Adorno e Benedetta di Robilant.

Dopo la laurea in biotecnologie mediche e dottorato a Padova, Maddalena Adorno si trasferisce a Stanford. Qui lavora all’Institute for Stem Cells dove inizia la sua ricerca sui meccanismi di mantenimento delle cellule staminali. Un side project sulla Sindrome di Down la conduce a scoperte rilevanti e le permette di conoscere Benedetta: le due scienziate lavorano insieme per sviluppare nuove terapie contro l’invecchiamento. Iniziano a chiedersi se non possano trasformare il loro progetto in un’iniziativa a beneficio di tutta la popolazione, e scelgono di entrare in Y Combinator, il più importante acceleratore di startup statunitense.

Perché Dorian?

Chiaramente è un riferimento alla famosa opera di Oscar Wilde. C’è molta letteratura incentrata sul concetto di ringiovanimento. La fonte dell’eterna giovinezza nel giardino dell’Eden, i grani di sabbia concessi come anni da Apollo alla Sibilla Cumana, fino alle più recenti storie come Benjamin Button di Francis Scott Fitzgerald. Vivere a lungo è da sempre un sogno dell’umanità.

C’è stato un momento di svolta nel settore dell’invecchiamento?

Fino a un paio di decenni fa il settore era popolato da idee più fantascientifiche che scientifiche. Era una nicchia per persone molto facoltose. Una vera rivoluzione è iniziata nel 2015, grazie a importanti scoperte scientifiche, soprattutto nella senescenza, che hanno permesso la nascita di nuove aziende e gruppi di ricerca.

E il vostro momento di svolta?

Avevamo scoperto come modulare un regolatore epigenetico dell’invecchiamento e ci era sembrato un sistema perfetto da integrare nella produzione di terapie cellulari. Ma quando siamo arrivate a Y Combinator è cambiato tutto. Mi aspettavo mi insegnassero a fare un business plan, un’analisi finanziaria. Ma a loro interessava capire come la nostra tecnologia potesse avere impatto su miliardi di persone. Non si trattava più di pensare in piccolo: noi credevamo di poter sviluppare un aiuto tecnico per il processo di cell manufacturing, ma la nostra soluzione era molto più grande di tutto questo. Io e Benedetta siamo entrate in Y Combinator con idee importanti ma di piccola scala e siamo uscite con la voglia di contribuire al miglioramento sostanziale della salute di tutta l’umanità.

Come?

Stiamo portando avanti il concetto di senoblocker che non prevede un approccio classico alla terapia, ossia verificare cosa vi sia di critico in un certo tessuto o in una certa patologia per cercare di riportarlo ai livelli normali. Indipendentemente dal fatto che il tessuto o l’organo sia compromesso, ciò che vogliamo fare è ringiovanirlo.

In cosa si distingue il vostro approccio rispetto a quello di altre realtà del settore?

Nel nostro caso, abbiamo elaborato un nuovo concetto e un nuovo approccio, però il tipo di tecnologia che utilizziamo è sviluppata da anni, quella delle small molecules. Questa è la principale differenza con quanto stanno facendo altri nell’industry. Noi siamo molto vicini alla realizzazione concreta, non serve un salto quantico per arrivare alla produzione.

Perché si invecchia?

I fattori che partecipano al processo di invecchiamento sono le cellule staminali che cominciano a lavorare meno, c’è un accumulo di cellule zombie, le cellule senescenti, i mitocondri che funzionano meno. Il nostro approccio è quello di comprendere come questi processi siano coordinati in modo congiunto e che cosa li controlla. In questo senso, fondamentale è stato lo studio che abbiamo fatto a Stanford su persone con la Sindrome di Down, che è stato il nostro punto di svolta nella comprensione della biologia dell’invecchiamento. Le persone con la Sindrome di Down presentano un quadro di invecchiamento precoce: già in giovane età si ammalano di Alzheimer, osteoporosi, sindrome metabolica, alopecia, ecc. Sono tutte patologie determinate da un regolatore epigenetico che si trova nel cromosoma 21. Facendo reverse engineering nella Sindrome di Down abbiamo identificato un regolatore epigenetico che controlla simultaneamente le cellule staminali, la senescenza, i mitocondri, ecc. Inquadrato questo nodo, siamo riusciti a sviluppare una specifica small molecule che può essere assunta per via orale, iniettata nel ginocchio per l’osteoartrite, o inalata per la fibrosi polmonare. Possiamo sviluppare diverse terapie per diverse malattie, ma mantenendo lo stesso meccanismo.

Qual è la missione di Dorian?

Il nostro obiettivo non è l’allungamento della vita, ma l’allungamento della salute. C’è un gap di circa 10 anni tra la durata della nostra vita e la durata della nostra salute, e nelle donne questa differenza è ancora più marcata. Vogliamo ridurre questo gap. Ciò avrebbe rilevanti conseguenze sociali. Il nostro approccio è rivolto alla popolazione globale e la struttura che abbiamo creato permette di minimizzare i costi. Non c’è bisogno di creare tante soluzioni; ne abbiamo una che funziona in diversi programmi. Ci stiamo concentrando sulla fibrosi polmonare e sull’osteoartrite, ma il nostro scopo è espandere la cura in tutte le direzioni possibili.

Stiamo vivendo l’età dell’oro della medicina?

Direi di sì. Per esempio, il settore dell’invecchiamento è esploso negli ultimi 10 anni e nei prossimi 10 si comincerà a raccoglierne i frutti. Cambierà il modo in cui misuriamo l’invecchiamento, ci saranno diverse età biologiche per i diversi organi. Vorremo capire, organo per organo, cosa sta succedendo.
Penso davvero che arriverà per la medicina una lunga golden age, che porterà grandi benefici e vantaggi per l’umanità.